L' impronta


Il sole era alto nel cielo e la giornata era veramente molto calda. Il bambino si guardava intorno inquieto. Aveva giocato con le sue noci ma ora si era stancato. Aveva deciso di andare a cercare qualche bella lucertola da stanare per divertirsi un po’ quando vide quello che non avrebbe dovuto vedere: una distesa di tegole si asciugavano al sole, aspettando di essere infornate. Si guardò intorno: non c’era nessuno. Si avvicinò a osservarle. Erano quadrate e piuttosto grandi. Su alcune c’era anche una stampigliatura rotonda. Aveva visto altre volte quei timbri, sapeva che indicavano il nome del proprietario della fabbrica o i nomi dei consoli in carica. Cercò di avvicinarsi per vedere meglio ma la luce era abbagliante e il segno troppo piccolo. Fu allora che gli venne la tentazione di farlo. Era già stato rimproverato per una cosa del genere e gli avevano detto di non farlo mai più. Ma in giro non c’era nessuno e immaginando che l’argilla fosse ancora fresca nonostante il sole, pregustò il piacere di far affondare il piede in quell’impasto umido, morbido e resistente allo stesso tempo. Scelse con cura quella che gli sembrava la tegola riuscita meglio e si avvicinò. Appoggiò piano il piede e poi premette, facendo forza con la punta del piede. Sotto un primo contatto caldo, l’argilla era effettivamente umida come l’aveva immaginata. Lasciò il piede per qualche istante perché la forma rimanesse bene impressa, poi lo alzò per guardare il risultato. Perfetto. Ridendo sotto i baffi sgattaiolò via in punta di piedi. Immaginava la faccia che avrebbero fatto quando avrebbero scoperto quella tegola. L’avrebbero usata? L’avrebbero buttata via? Avrebbero fatto finta di niente? Quello che davvero non poteva immaginare era che la prova della sua disubbidienza sarebbe rimasta impressa per sempre e che, 1897 anni dopo, sarebbe stata ancora sotto gli occhi di tutti.


©Archivio Fotografico MNR 

Bollo con i nomi dei consoli Petino e Aproniano, 123 d.C. 

Dalla via Appia



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